RITORNO ECONOMICO DELL’INVESTIMENTO NELLE VACCHE DA LATTE

RITORNO ECONOMICO DELL’INVESTIMENTO NELLE VACCHE DA LATTE

Si ottiene un ottimo ROI di 1:4 con il controllo dell’ipocalcemia al parto

Con il parto e l’inizio della lattazione le vacche devono affrontare una sfida importante: mantenere l’equilibrio del calcio nel sangue! In questa fase, infatti, le richieste fisiologiche di calcio della lattazione superano la capacità di assorbimento dalla normale dieta, per cui si instaurano dei meccanismi di mobilizzazione dalle ossa e un maggior assorbimento intestinale di calcio. Questi meccanismi non sono però immediati e nel frattempo possono verificarsi situazioni di ipocalcemia. (vedi fig. 1)

Tre sono le forme di calcio dell’organismo in equilibrio con il siero:
Calcio non diffusibile legato principalmente all’albumina; complessi diffusibili di calcio con lattato, bicarbonato, fosfato, solfato, citrato e altri anioni e calcio ionizzato diffusibile (Ca2+). Il calcio complessato rappresenta circa la metà del calcio sierico totale e il calcio non diffusibile e ionizzato rappresentano rispettivamente il 45% e il 5% del totale. Il calcio ionizzato è la forma fisiologicamente attiva; la sua concentrazione è regolata dalla ghiandola paratiroidea. Una diminuzione del calcio sierico ionizzato può causare contrazioni muscolari involontarie e sintomi neurologici correlati, indipendentemente dalla concentrazione sierica totale di calcio2+.

Il calcio totale è più stabile del calcio ionizzato ed è attualmente la forma più semplice e raccomandata da analizzare. Sebbene alcuni studi dimostrino che il calcio totale è ragionevolmente associato a concentrazioni di calcio ionizzato nel sangue bovino, questa relazione cambia in prossimità del parto.

Ipocalcemia subclinica (SCH)
Parliamo di ipocalcemia subclinica (SCH) quando i valori di calcio nel siero totale sono < 2,0 mM/dl (8,0 mg/dl) e di ipocalcemia clinica (CH) (la cd febbre da latte o collasso puerperale) quando i livelli sierici di Ca sono < 1,5 mM/dl (6,0 mg/dL; Goff, 2008); altri studi indicano però intervalli diversi per determinare la gravità dell’ipocalcemia; Chapinal et al. (2012) parla di normocalcemia a livelli sierici di Ca > 2,20 mM/dl; Goff (2008) di calcemia normale in un intervallo compreso tra 2,12 e 2,50 mM/dl e per Martinez et al. (2012) sono livelli soglia di calcemia normale valori > 2,14 mM/dl. Le forme di ipocalcemia subclinica, proprio perché inapparenti, sono più subdole di quelle cliniche evidenti ma non meno impattanti perché sono assai diffuse (circa il 50% delle pluripare e il 25% delle primipare), possono compromettere longevità e produttività della bovina (Goff, 2008; Murray et al., 2008) e non sono facilmente identificabili. Oggi fortunatamente si è reso disponibile un valido test di campo per la determinazione della calcemia in stalla denominato LAQUAtwin Ca-11C, attualmente l’unico metodo affidabile a prezzo basso per effettuare test in allevamento (paragonabile, come si vede in figura 3, ad ABL-800 FLEX (gold standard di laboratorio per la determinazione della calcemia)).

Come detto, l’ipocalcemia può essere più (forma clinica con sintomi evidenti, la cd febbre da latte) o meno (forma subclinica con sintomi inapparenti) evidente, ma in entrambi i casi grave per le conseguenze che determina sulla salute e produttività delle vacche. E se da un lato il collasso puerperale, forma clinica dell’ipocalcemia, negli ultimi anni ha visto una sensibile riduzione della sua incidenza (<5%), non altrettanto si può dire per l’ipocalcemia subclinica, che rischia di colpire dal 30% al 70% della mandria con conseguenti importanti ricadute economiche negative che raggiungono i 250 € a caso, visto l’aumentato rischio a essa correlato di ridotta capacità immunitaria, mastite, metrite, polmonite, riduzione di fertilità e produzione lattea, uniti a un aumentato rischio di riforma. Certamente diversi fattori influenzano il rischio ipocalcemico, quali l’età dei soggetti, la razza, aspetti gestionali di carattere alimentare, aspetti geografici legati a fattori climatici e qualità dei foraggi, arrivando a interessare fino al 78% delle vacche in una mandria; da considerare per il rischio ipocalcemico anche la condizione corporea delle vacche, tenendo conto che idealmente dovremmo avere un BCS compreso tra 3,25 e 3,5 e si raccomanda anche una densità di gruppo intorno all’85% per garantire un accesso pieno ad alimento e acqua con separazione, se possibile, tra primipare e vacche. Altrettanto importante per contenere la possibilità di ipocalcemia è la riduzione di qualsiasi stress in ordine alla pulizia di lettiere, cuccette, abbeveratoi, la messa a disposizione di zone di riposo confortevoli, l’abbattimento dello stress termico sia per le alte che per le eccessivamente basse temperature. In condizioni di normalità gestionale, statistiche nordamericane relative alla popolazione Holstein indicano un’incidenza di ipocalcemia subclinica di oltre il 50% nelle pluripare e inaspettatamente del 25% nelle primipare.

Dunque importante è la battaglia per sconfiggere l’ipocalcemia e non si vince utilizzando una sola strategia; l’ideale è porre in essere opportune misure sia in preparto sia in postparto. Gestioni nutrizionali delle diete in close-up con approccio DCAD spinto o con calcium-binders (leganti del calcio) tendono a risolvere l’ipocalcemia clinica (la febbre da latte con i collassi e le vacche a terra), ma non risultano altrettanto efficaci nei confronti dell’ipocalcemia subclinica. Quindi, anche per animali correttamente gestiti in preparto da un punto di vista nutrizionale minerale, rimane necessaria l’implementazione di strategie complementari atte a contenere il rischio ipocalcemico subclinico, consistenti di fatto in 3 azioni:
1) Somministrazione al parto (a tutte le vacche, primipare comprese) di un drunch contenente calcio ad alto assorbimento;
2) Somministrazione 12-24 ore dopo il parto (o anche al parto se non si è somministrato il drunch) di boli con adeguati livelli di calcio assorbibile;
3) Integrazione della dieta delle vacche fresche (primi 30 giorni di lattazione) con calcio organico ad alto assorbimento.
Il costo complessivo di questo triplice approccio si aggira intorno ai 35-40 € per vacca partorita con un ROI di 1:4 sui 250 € a caso di ipocalcemia che rischia di coinvolgere circa il 50% della mandria, in normali corrette condizioni gestionali di allevamento.

Quantità e qualità del calcio somministrato fanno la differenza!
Bisogna utilizzare fonti di calcio solubili e assorbibili (NB: il meccanismo di assorbimento passivo del calcio in condizioni di ipocalcemia è fondamentale e come sappiamo dipende dal gradiente di concentrazione che solo fonti solubili di calcio possono garantire: in tal caso drunch o boli contenenti carbonato di calcio, sale caratterizzato da bassa solubilità, non assicurano un assorbimento efficace del calcio perché troppo lento).
Ancora, la somministrazione endovenosa di calcio, assolutamente necessaria negli episodi di ipocalcemia clinica (vacca a terra o segni comunque di collasso), và evitata in tutti gli altri casi di ipocalcemia subclinica dove è preferibile e raccomandabile la somministrazione orale, in quanto questa si dimostra più efficace (perché più duratura nel tempo) e meno rischiosa di indurre una stressante ipercalcemia transitoria nell’immediato e una riduzione a medio termine del calcio nel sangue.

In conclusione, dando al momento giusto un calcio ben assestato (per qualità e quantità) possiamo oggi davvero rendere felici le nostre vacche liberandole dall’ipocalcemia.

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